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Nino D'Angelo, 'tanta gente vedeva di me solo il caschetto'
Al Lido con il docu 'Nino. 18 giorni' del figlio Toni
(dell'inviata Francesca Pierleoni) Sono state tante le richieste arrivate a Nino d'Angelo per raccontarsi in un documentario, ma "pur venendo anche da registi che stimo, sentivo che c'era un po' di superficialità, nell'approccio alla sua storia. Il percorso di papà ha molte facce, andava affrontato con serietà e passione, non volevo ci si limitasse a Napoli, la camorra. gli anni '80. il caschetto. È una persona nata povera, si è fatto da solo, mi ha insegnato tantissimo". Così Toni D'Angelo, apprezzato regista di film come Una notte, Falchi e Calibro 9, ha deciso di realizzare sul padre 'Nino. 18 giorni', al debutto alla Mostra del Cinema fuori concorso e nelle sale dal 20 novembre con Nexo Studios. Il film non fiction, prodotto da Isola Produzioni con Rai Cinema, Mad Entertainment, Stefano Francioni produzioni, Di.Elle.O., in collaborazione con Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico Ets e Waterclock, segue Nino D'Angelo durante la preparazione di un concerto evento che segna il suo ritorno sulle scene. La forma è quella di diario intimo in cui pubblico e privato si fondono. "Io mi racconto da 50 anni, ma mio figlio ha trovato un nuovo modo - spiega il cantante e autore raggiante al Lido accanto al figlio -. Negli anni '80 il pregiudizio che ho affrontato è stata la più grande montagna da scalare. La gente vedeva solo il caschetto non quello che facevo, questo mi ha portato alla depressione" che in realtà "mi ha dato la chiave per ricominciare, anche il coraggio di osare, e di guadagnare anche in modo diverso la stima della gente. Non mi guardavano più con la puzzetta sotto il naso". Comunque "io sono fortunato, ho avuto successo, e cerco, se posso, di essere la voce di chi non ce l'ha. L'uguaglianza in questo mondo è un'utopia ma esiste". D'Angelo racconta di avere vissuto tante limitazioni "sulla mia pelle: i miei figli sono nati borghesi, hanno potuto studiare, io no, perché dovevo aiutare mio padre, a 13 anni dovevo essere grande e portare avanti la famiglia". Il rapporto del cantante e autore con il cinema ha avuto vari volti: "Non so quanti film ho fatto, avrei potuto osare di più ma mi facevano sempre fare il ragazzino che si innamora e spesso quando serviva una scena in più per finire il film, mi facevano fare corse bellissime sulle spiagge, penso di essere l'attore che ha corso di più nei film". Poi c'è stata anche l'occasione di un ruolo più sfaccettato in Il cuore altrove di Pupi Avati, "ma è la musica la mia vita, non ti puoi innamorare di due donne". "Essere arrivato a Venezia, con un documentario su di me diretto da mio figlio mi riempie di gioia e spero mostri anche alle persone nate come me che ce la possono comunque fare perché conta solo, alla fine, se hai o no talento". Il film "è molto umano, c'è tanta verità e mi ha aiutato anche a conoscere meglio mio figlio. Pure lui ha vissuto un pregiudizio, avendomi come padre", dice ancora. Nella sua carriera Nino D'Angelo, come autore delle musiche di Tano da Morire ha vinto il David di Donatello e il Nastro d'argento, "ma il premio più bello - conclude - me l'ha fatto la vita, anche con mio figlio che fa un film su di me".
C.Stoecklin--VB