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Leonberg, Good Boy, il mio retriever contro i fantasmi
Il thriller soprannaturale apre Alice nella città
(di Francesca Pierleoni) Una casa infestata dai fantasmi, un papà umano sempre più malato, una serie di ombre minacciose. È la realtà inquietante con cui si confronta Indy, il Nova Scotia Duck Tolling Retriever protagonista di Good Boy, il thriller horror soprannaturale, debutto alla regia di Ben Leonberg, che dopo aver conquistato i critici negli Usa apre Alice nella Città, festival autonomo parallelo alla Festa del Cinema di Roma. Poi arriverà sulle piattaforme con Midnight Factory che ha acquisito i diritti da Maestro Distribution. Il cineasta, anche cosceneggiatore e direttore della fotografia, che ha avuto al suo fianco come produttrice la compagna Kari Fischer, non ha avuto problemi a scegliere il protagonista, avendo deciso di utilizzare il suo stesso cane, Indy. "L'idea di partenza per la storia è nata da qualcosa che credo abbia notato chiunque abbia un cane - spiega Leonberg -. Il fatto che a volte non si capisca perché abbai, o si metta a fissare un punto nel vuoto. Viene naturale pensare il peggio, e io ho immaginato come sarebbe stato vedere un cane alle prese con una casa piena di fantasmi e di raccontare la storia dal suo punto di vista". Così "abbiamo costruito il film intorno a Indy, ci abbiamo messo tre anni a realizzarlo - aggiunge Fischer -. Lui non è addestrato, non è una cane attore e conosce solo qualche comando di base, come fermo, disteso, seduto. Per il resto, abbiamo fatto ricorso alla creatività e per avere nel film quei suoi sguardi pieni di interrogativi. Indy è molto curioso e intelligente e servivano continuamente nuovi spunti per stupirlo. Nei primi giorni di riprese bastava facessimo dei suoni particolari, al 400/o giorno Ben si metteva le scarpe sulla testa…". Nella storia incontriamo Todd (Shane Jensen), trentenne che combatte una grave malattia, e il suo cane Indy, al loro arrivo nella vecchia casa di famiglia, in piena campagna, appartenuta al nonno. Todd infatti è stufo degli ospedali e ha deciso di isolarsi, nonostante stia sempre peggio. Indy, però, inizia a percepire in quella casa presenze oscure. Una minaccia sempre più presente in parallelo all'aggravarsi delle condizioni di Todd, che passa le giornate a vedere film horror e vecchi e misteriosi filmini di famiglia. Il retriever si ritrova così in un flusso di presagi e visioni tra presente e passato. Il film, oltre ad esplorare i canoni del genere, tocca anche temi come la perdita, il rapporto con la malattia, il lutto: "Sono emersi naturalmente sia scrivendo la storia che girando il film, vedendo le reazioni di Indy - dice Leonberg -. Anche perché sappiamo che i cani riescono a percepire cose di cui noi non siamo coscienti, anche rispetto alla malattia. Poi spesso nella nostra vita è proprio perdere un animale che amiamo a porci in contatto per la prima volta con la morte". L'idea per la storia è venuta a Leonberg durante la pandemia: "Il capo dei servizi medici negli Stati Uniti ha detto che dal Covid è nata un'epidemia di solitudine - spiega Fischer, che nella vita è anche una Program Officer scientifica presso la Lupus Research Alliance, ha conseguito un dottorato in medicina al Weill Cornell Medicine dove ha studiato il cancro al seno e ha pubblicato su Nature -. Una condizione che Todd trasmette". La scelta di raccontare tutto ad altezza di Indy ha anche permesso spesso "a Kari e me di essere con lui in scena, come 'controfigure' di Todd - racconta Leonberg -: i gesti e le manifestazioni di affetto sono reali perché le sta facendo a noi".
H.Kuenzler--VB