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Maura Delpero, 'il mio cinema non è difficile, parla al cuore'
"Tornatore mi ha detto, Vermiglio lo hanno proprio capito tutti"
(dell'inviata Alessandra Magliaro) "Lo hanno proprio capito tutti": questo, dice Maura Delpero con Vermiglio Leone d'argento - Gran Premio della giuria a Venezia 81, è il commento che le ha fatto Giuseppe Tornatore, membro della giuria presieduta da Isabelle Huppert che ha premiato la regista italiana nella notte che ha incoronato Pedro Almodovar, Leone d'oro per La stanza accanto. "Mi è arrivata l'unanimità del giudizio su Vermiglio, non penso che l'aspetto dell'italianità sia stato fondamentale", aggiunge, felice che Huppert le abbia detto di "aver portato la poesia in immagini". Il giorno dopo il Leone d'Argento è un bel risveglio, "domani parto per il festival di Toronto e poi accompagnerò in sala Vermiglio - prodotto da Cinedora e Rai Cinema, esce con Lucky Red il 19 settembre, ndr - e negli altri festival che lo stanno selezionando". Potrebbe essere candidato italiano all'Oscar internazionale? Nulla di certo (e c'è Parthenope di Paolo Sorrentino in pole) ma la regista risponde con un 'perché no? Mi piacerebbe'. Nata a Bolzano, studi a Bologna, si dichiara "autodidatta" cresciuta "bulimicamente con i film della Cineteca di Bologna", ha vissuto in Francia, parla cinque lingue e ora vive tra Italia e Argentina, a Buenos Aires con il marito attore argentino e la figlia piccola, presente in una scena di Vermiglio. Dal palco della sala grande ieri sera nel discorso di ringraziamento ha parlato anche del tema della conciliazione lavoro-famiglia: "Ci vorrebbe uno scatto della società, un pensiero serio su come non lasciare sole le donne. La mia è solo una piccola esperienza, ogni giorno ho allattato sul set ma è un esempio di quello che succede. Quando ho cominciato mi sono sentita dire che darsi un lavoro maschile forse avrebbe richiesto di rinunciare alla famiglia ma non è giusto". Il tema delle uguaglianze e della democrazia non solo nel genere maschile-femminile ma in generale, Maura Delpero lo sente molto. "Spero in un futuro di storie più paritarie, in cui non c'è più un punto di vista di genere, ma il punto di vista dell'autore e basta e spero che questo movimento di rinnovamento, pure se si muove goffamente, magari facendo errori, porti a scardinare il cinema come universo maschile, bianco, ricco, del Primo mondo". La regista che ha realizzato Vermiglio, coproduzione Italia-Francia-Belgio, anche con la neonata società Cinedora di cui è fondatrice, con appena 4 milioni di budget, rivendica la sua idea di cinema 'autentico', 'indipendente'. Fa riferimento ad Olmi, a Vittorio De Sica, a Tarkovskij e a Michael Haneke. Racconta la storia di una ragazza che nell'ultimo anno della seconda guerra mondiale nel paesino di montagna di Vermiglio in Val di Sole, in una grande famiglia con un patriarca a dare gli insegnamenti e le regole (il maestro del paese Tommaso Ragno), si innamora di un soldato disertore rifugiato lì e resta incinta. E così per un paradosso del destino il paese perde la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria. Un film in dialetto, per il quale Delpero ha scelto una ad una le comparse conosciute sul posto in un lavoro preliminare lunghissimo, è un film lontano dai modi consueti di girare. Un cinema difficile? "Non ho consapevolezza di quanto sia difficile, per me invece è facilissimo. Ho grande fiducia nello spettatore attento, attivo. Non demonizzo il cinema intrattenimento, sia chiaro, ma io stessa non vado al cinema per essere presa per mano, ma per sentire l'esperienza creativa che c'è dall'altra parte, è cercare emozioni del cuore e della mente". Un cinema libero? "Non è mai veramente libero - risponde all'ANSA - perchè il controllo assoluto non è possibile, ho tagliato scene, ho fatto i conti con condizioni impreviste, sono altre le arti più libere del cinema che coinvolge tante persone". In un percorso "cominciato da adulta" a 28 anni, e in cui Maura Delpero si butta "a testa bassa, perchè mi piace da matti e voglio continuare a farlo in questo modo", ecco che il prestigioso secondo premio di Venezia, più che per se stessa è per gli altri, "è una iniezione di fiducia degli altri verso il mio lavoro. Non escludo di diversificare la produzione, ma ho già rifiutato cose su commissione in cui non credevo. Difficilmente accetterò cose lontane da me". E questo è un po' quello per cui ha ringraziato ieri sera, la possibilità cioè, attraverso il finanziamento pubblico, di fare un cinema indipendente non legato a logiche commerciali, un invito rivolto alla platea dei cineasti in cui era seduto il neo ministro della Cultura Alessandro Giuli.
P.Keller--VB