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Dermatologi, 'dalla pelle i primi segni del contagio da Hiv'
90% infetti ha problemi cutanei. Proposta task force esperti
Eruzioni maculo-papulari simili al morbillo, dermatite seborroica resistente ai trattamenti, scabbia diffusa, infezioni fungine croniche, dermatofitosi e forme gravi di psoriasi: le patologie della pelle possono essere il primo campanello d'allarme di un'infezione da Hiv. Con i dati dei contagi in Italia che tornano a crescere - 2.349 nuovi casi nel 2023, valore che segna un aumento rispetto al 2022 e che riporta l'attenzione ai livelli precedenti la pandemia di Covid-19 - il dermatologo può diventare il primo 'guardiano' della salute del paziente, anticipando la diagnosi dell'infezione grazie ad una corretta interpretazione dei segni cutanei. "Il 90% delle persone con HIV sviluppa almeno una patologia cutanea prima della diagnosi o durante il trattamento - afferma Maria Concetta Fargnoli vicepresidente della Società italiana di dermatologia e malattie sessualmente trasmesse (SIDeMaST), -. Alcune malattie della pelle, pur non essendo specifiche dell'Hiv possono rappresentare un primo segno di infezione da Hiv, in particolar modo quando si presentano in forma atipica, grave e soprattutto resistente ai trattamenti, che vanno poi confermati con un test". Nonostante la centralità del dermatologo, esistono ancora ostacoli nella diagnosi precoce dell'Hiv da manifestazioni cutanee. Primo fra tutti, la mancanza di linee guida operative aggiornate che forniscano ai professionisti strumenti chiari per identificare i casi sospetti. Proprio per rafforzare il presidio dermatologico nella gestione dell'Hiv, SIDeMaST insieme con altre società dermatologiche ha lanciato la proposta di una task force di dermatologi venereologi esperti, riconosciuta a livello scientifico e in grado di guidare la ricerca, la formazione e il coordinamento con infettivologi e altri specialisti.
H.Gerber--VB